Cosa succede

Flora, il musical: la genesi!

Quasi alla vigilia della prima di Flora, mercoledì 3 maggio al teatro Dehon di Bologna, mi sembra giusto spendere due parole per ricordare come è nata questa bellissima avventura. Due parole… insomma… mettetevi comodi perché non ho nessuna intenzione di essere sintetico 😊.
All’inizio eravamo tre amici, ai Giardini Margherita, in occasione di Giardini & Terrazzi.
C’è da dire che la cornice era davvero bella: i Giardini Margherita sono il più importante parco pubblico di Bologna, e lo sono dal 1879, anno dell’inaugurazione e della dedica all’allora Regina Margherita, e ancor di più, se possibile, dal 1888 quando vi si tenne l’Esposizione emiliana d’agricoltura e d’industria, manifestazione che accompagnò le celebrazioni per l’ottavo centenario dell’Università di Bologna.
Da 23 anni, ogni anno nei mesi di maggio e settembre, vi si tiene una importante manifestazione dedicata al verde ed al vivere all’aria aperta: Giardini & Terrazzi, appunto. Per i più svagati si tratta di una bellissima occasione per fare una passeggiata quanto mai gradevole fra fiori e colori e profumi e bella gente e belle cose da vedere. Ma in realtà Giardini & Terrazzi è un appuntamento imperdibile per tanti altri motivi. Gli appassionati di piante vi troveranno di che soddisfare il loro hobby. Si spazia da piante comuni ma offerte in gran varietà di colori e dimensioni, a piante particolari e a volte autentiche rarità, come le “grasse” di ogni taglia, fino a curiosità della natura come le aliene Tillandsie e le piante carnivore. A questo poi si aggiunge l’offerta di arredamenti da giardino (e non solo), stoffe, e tante proposte gastronomiche che sono quanto mai gradite perché si sta così bene a Giardini & Terrazzi che non si vorrebbe mai andarsene.
Quindi, ero a Giardini & Terrazzi con due personaggi importanti. La prima è Maria Luigia Casalengo, Presidentessa dell’Inner Wheel Valsamoggia Terre d’Acqua, grande comunicatrice e organizzatrice di eventi, il secondo è Oddone Sangiorgi, che di Giardini & terrazzi è il geniale ideatore. Così, chiacchierando assieme, forse inebriati dal profumo delle rose che alla edizione di maggio la fanno comprensibilmente da padrone, forse incoraggiati dalla gran folla presente, a un certo punto qualcuno ha detto: “Sarebbe bello fare un musical dedicato a Giardini & Terrazzi”. E guardavano me. Io mi son dichiarato entusiasta dell’idea (perché sì, l’idea è bella), ma pensavo che la cosa finisse lì. Invece no, perché con mia grande sorpresa, e gratitudine per la fiducia nei miei confronti, gli altri due hanno continuato a parlare della cosa, anche a Giardini & Terrazzi finiti. L’autore del musical avrei dovuto essere io.
Così mi sono messo all’opera.
Premetto che non sono stato quel che si dice “un fulmine di guerra” e di questo mi scuso con Maria Luigia e Oddone: l’età e gli impegni lavorativi son quel che sono, anche quando si tratta di fare una cosa bella come questa.
Se la realizzazione è stata lenta, ho comunque avuto ben chiaro da subito che il musical avrebbe in qualche modo riguardato il mito di Flora e Zefiro.
Non è che manchino precedenti illustri. Flora ritorna come elemento iconografico nei secoli, e come esempio noto a tutti si può ricordare la Primavera del Botticelli del 1482. Parole e musiche unite nel cosiddetto “recitar cantando” vedono un’opera intitolata “La Flora”, di Marco da Gagliano e Jacopo Peri, rappresentata agli Uffizi di Firenze in occasione delle nozze di Margherita de’ Medici con Odoardo I Farnese. Il libretto de “La Flora”, a differenza di tanti altri, è arrivato fino a noi e alcune delle arie di quest’opera sono ancora eseguite in concerto. Un rapido esame del libretto, però, mi ha convinto dell’impossibilità di ispirarmi direttamente a quello per il lavoro da fare per Giardini & Terrazzi.
Ma l’idea di parlare di Flora mi piaceva.
Flora è la dea romana e italica della primavera: presiede alla fioritura delle piante, in particolare di quelle utili all’uomo, come il grano, gli alberi da frutto e l’uva.
Secondo Ovidio, Flora corrisponde nella mitologia Greca alla ninfa Cloris, divinità dei fiori e della crescita. È responsabile della trasformazione in fiori di Croco, Giacinto e Narciso.
Flora era una dea importante a Roma, e veniva festeggiata ogni anno dal 28 aprile al 3 maggio, nel periodo in cui i cereali sono in fiore. Durante queste feste abbondavano i divertimenti. Da Flora prende il nome la città di Firenze.
Il mito narra che, un giorno di primavera, mentre la fanciulla passeggia per i campi, Zefiro (cioè vento che soffia da ovest in primavera) la vede e se ne innamora perdutamente. Di temperamento irruente, Zefiro la rapisce e ne fa la sua sposa. Come dimostrazione d’amore, Zefiro le concede di regnare sui fiori dei giardini e dei campi. Dal canto suo, la dea offre agli uomini una innumerevole varietà di fiori e il miele. Per questo Flora è in genere immaginata con il capo cinto da una ghirlanda fiorita mentre porta in grembo una grande quantità di fiori. Talvolta è ritratta in compagnia di Zefiro, oppure mentre danza nel suo giardino.
Il fatto che il culmine delle feste romane per Flora fosse il 3 maggio mi è sembrato di buon auspicio. Così ho scritto una trama molto semplice. C’è così bisogno di leggerezza, al giorno d’oggi!
La giovane Cloris assieme alle sue amiche passeggia ai Giardini Margherita durante Giardini & Terrazzi. Qui è notata da Zefiro e dai suoi amici. Fra Cloris e Zefiro è subito amore, ma Zilia amica di Cloris, che ha avuto una delusione d’amore, cerca di dissuadere l’amica. Viceversa, fra gli amici di Zefiro c’è Desiderio, che lo invita a fare sua la ragazza senza tanti complimenti. Il comportamento prepotente di Zefiro sembra far tramontare per sempre la nascente storia d’amore. Per fortuna gli altri due amici dei protagonisti, che in realtà sono segretamente fidanzati fra loro, lavorano per rimediare e suggeriscono così una gara di canto e ballo. Solo alla fine si deciderà se Flora è ancora decisa a rifiutare Zefiro. C’è però una regola: tutte le canzoni devono avere a tema fiori, piante, la natura. Inizia la gara, che da un lato costituisce una rassegna di canzoni italiane famose dagli anni ’30 ad oggi, e dall’altra disegna il modo diverso che spesso hanno uomini e donne di concepire e vivere l’amore. Ma sarà proprio durante l’esecuzione di una di queste canzoni che Zilia, invaghita di Desiderio e sotto sotto invidiosa di Flora, e Desiderio, affascinato da Zilia, si dichiareranno la loro attrazione reciproca e fuggiranno. Senza i due principali ostacoli, l’amore trionferà fra Flora e Zefiro.
Come si vede in questa trama l’attenzione è rivolta soprattutto alle schermaglie fra giovani uomini e donne, e a come un atteggiamento da bulli possa portare a forme d’approccio non corrette: il potere dei fiori, per il tramite delle canzoni ad esse dedicate, permette di risolvere la situazione.
Per le musiche, non avendo né le capacità né il tempo per provare a scrivere qualcosa di originale, ho pensato di utilizzare canzoni esistenti, famose, e di incastonarle per il loro senso nel testo recitato: un po’ quello che si fa nel musical “Mamma mia” con le canzoni degli ABBA, e come faceva il Quartetto Cetra nella gloriosa RAI di un tempo.
Accettato, bontà loro, questo copione, Maria Luigia e Oddone hanno messo in moto la macchina organizzativa.
Un grosso problema però era costituito dalla necessità di trovare gli attori. Il testo è pensato per ragazzi dai 18 anni in su… ma non ce n’erano a disposizione… come ben sanno colleghi e amici a cui anche io mi sono rivolto per chiedere aiuto. Ovviamente non semplifica il fatto che sono previste ben 6 figure principali, quasi sempre tutte in scena. Quindi la difficoltà di trovare gli attori era reale.
Dramma!
Sembrava che Flora, immersa in una vasca di diserbante, non dovesse mai venire alla luce.
Ma in ogni storia a lieto fine prima o poi c’è l’intervento di qualche intelligenza celeste. Che sia stata l’intercessione di Maria Luigia Casalengo, o di Guja Forni, o di qualche altra creatura angelicata, si è manifestato il Teatro Ridotto nelle figure della regista Lina Della Rocca e dell’assistente alla regia Antonella De Francesco.
Il Teatro Ridotto è una importante realtà artistica bolognese, che si è costituita nel 1983 come laboratorio permanente di ricerca sull’arte della recitazione. Le persone che ne facevano parte all’inizio erano tutti autodidatti, ed è stato sviluppato un lavoro di ricerca basato sulle possibilità fisiche e vocali dell’attore, con tecniche di improvvisazione, composizione e montaggio, dando vita a spettacoli all’aperto e al chiuso. In 40 anni di duro lavoro, convinti che “il teatro è una sorta di clandestinità a cielo aperto, una guerriglia incruenta, una preghiera miscredente” (Eugenio Barba), le donne e gli uomini del Teatro Ridotto hanno avviato collaborazioni internazionali, tenuto seminari in importanti Università e Istituti italiani ed esteri, ottenuto riconoscimenti dal comune di Bologna, dalla Provincia e dalla Regione Emilia -Romagna e, soprattutto, organizzato spettacoli in oltre 100 città italiane.
Lina e Antonella si sono prese a cuore il progetto, ed è iniziata la caccia agli attori: dall’Olimpo Flora deve averle aiutate perché, pian piano, i ragazzi sono stati trovati.
Nel frattempo, sempre grazie a Maria Luigia e Oddone, si è concretizzata la possibilità di rappresentare Flora al teatro Dehon!
La cornice è prestigiosa: il teatro ha 500 posti. Il Dehon, poi, mi è particolarmente caro perché era il cinema dove andavo da bambino con i miei genitori: mi ricordo di aver visto lì il primo film di Zorro, e un buon numero di western all’italiana. Abitavo in zona e ho fatto le elementari nell’isolato vicino, alle Giordani, e le medie alle Albani, al Villaggio del Fanciullo. E ho fatto Comunione e Cresima a Santa Maria del Suffragio, proprio sopra il teatro: si può facilmente immaginare la mia emozione. Mi si consenta poi di sfruttare fino all’ultimo il momento tenerezza ricordando con gratitudine e affetto la mia insegnante di italiano delle medie, la professoressa Gabriella Dini. Il mio amore per il teatro è dovuto anche a lei, che ci fece recitare in seconda e terza media “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov. Pensate che andammo in tournee nelle altre scuole medie!
Ogni anno il Teatro Dehon dà ospitalità alla “Casa dei Risvegli Luca De Nigris” per una rassegna di opere teatrali.
La “Casa dei risvegli Luca De Nigris” è una struttura dedicata alla riabilitazione, formazione e ricerca nel campo delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA), con particolare riferimento ai Disordini della Coscienza (DOCs). Luca De Nigris era ragazzo bolognese di 15 anni in coma per 240 giorni e purtroppo scomparso nel 1998. La “Casa dei Risvegli” adotta un modello nel quale gli assistiti non sono considerati “malati” ma persone con alto bisogno di di riabilitazione per riprendersi da gravi esperienze di coma ed assimilabili. La “Casa dei Risvegli” offre ai pazienti ed ai loro familiari uno standard elevato di qualità dell’accoglienza ed ospitalità, ed un continuo miglioramento. L’associazione “Gli amici di Luca” opera in maniera specifica ed originale con un gruppo teatrale che nasce nel 2003 ed è formato da volontari, ragazzi che hanno vissuto l’esperienza del coma, giovani attori e operatori della Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Ecco spiegato il legame fra teatro e “Casa dei Risvegli”: da tale laboratorio sono state realizzate ormai cinque produzioni teatrali, ed è nata l’idea di una vera e propria rassegna teatrale.
È nell’ambito di questa rassegna che viene ospitata Flora, e l’incasso della serata (ricordo che l’offerta è libera) è devoluto alla “Casa dei Risvegli Luca De Nigris”. Grazie di cuore a Fulvio De Nigris per aver aderito al progetto “Flora”!
Il teatro, quindi, l’abbiamo! E gli attori?
Man mano che si componeva il cast del musical, infatti, è diventata evidente una cosa: i nostri attori sono giovani, più giovani di quanto si fosse inizialmente ipotizzato. Si va infatti dagli 11 ai 15 anni! Intendiamoci: sono maledettamente bravi! E prezioso è il lavoro che Lina e Antonella fanno con loro e su di loro: vi garantisco che assistere alle prove è bellissimo, proprio per come i ragazzi vengono condotti a entrare nel personaggio e a esprimersi con naturalezza, ma la contempo con piena consapevolezza di quanto stanno portando in scena. Se ne esce arricchiti tutti: i giovani attori, gli spettatori e, penso, anche Lina e Antonella, la cui passione per quello che fanno è tangibile. La loro professionalità, non c’è bisogno di dirlo, è eccezionale.
Il testo originario però non è adatto a ragazzi così giovani: così l’ho riscritto. A tempo di record, aggiungo con un certo orgoglio.
Il nuovo copione è sempre ispirato al mito di Flora, quindi vedremo sempre in scena Cloris e Zefiro, e i loro amici. Ma questa volta la contrapposizione maschi/femmine è stata assai attenuta: i nostri giovani attori avranno tempo per questo! Si insiste invece sui primi amori, su come queste emozioni siano spesse vissute, o comunque condivise, con il gruppo degli amici. Assistiamo quindi ai tentativi di Angiò e di Eros, che stanno già assieme, di far “fidanzare” due coppie di amici, Zilia e Libero, Cloris e Ballo (soprannome di Zefiro). A mettere i bastoni fra le ruote, questa volta, sarà il cyber bullismo di cui i ragazzi sono vittime quando pubblicano sui social un video dove ballano e cantano a Giardini & Terrazzi. Come andrà a finire? Anche questa volta un ruolo importante l’avranno le canzoni, ma per i dettagli dovete venire il 3 maggio al Teatro Dehon. Il copione originario è stato liberamente interpretato ed adattato da Lina, Antonella e dai giovani attori, che hanno anche suggerito alcune delle nuove canzoni inserite nel copione. Se da un lato pensare che qualcuno possa modificare un proprio testo è cosa comprensibilmente fonte d’ansia (e, sia ben chiaro, lo dico con umiltà perché sono assolutamente consapevole di non essere Goldoni), dall’altro vedere che un proprio scritto può essere trasformato grazie alle emozioni che suscita in altre persone, che lo fanno proprio, è una cosa bellissima.
Inner Wheel Valsamoggia Terre d’Acqua da anni si impegna per sensibilizzare (e fare prevenzione!) sul fenomeno del cyberbullismo. Qui vale la pena di ricordare (e rendere merito) una importante iniziativa di lotta al cyberbullismo: è stato firmato un protocollo con l’Università di Bologna col fine di preparare operatori, in ambito scolastico e universitario, pronti per affrontare questo vero e proprio flagello che tocca così da vicino i giovani a tutte le età. I corsi universitari di formazione con l’Istituto Giuridico Universitario sono tenuti dall’avvocato Ana Uzqueda, una vera autorità in materia di mediazione, in collaborazione con l’Associazione di mediazione Equilibri. Sono stato un suo alunno, in passato, e vi assicuro che è una formatrice formatrice formidabile!
L’approccio al tema nel musical deve essere per forza leggero, ma il messaggio personale che vorrei far arrivare ai ragazzi vittima di bullismo non è leggero, è il seguente: qualcuno che anche senza volere dirà qualcosa che ci offende ci sarà sempre nella vita, purtroppo. Ma alla fine il rimedio al bullismo è solo uno: non fare il gioco dei bulli! Non badare alla loro cattiveria! Tanto si sa che tutto quello che fanno o dicono è per rendersi simpatici agli altri e per cattiveria. Ma noi le persone cattive e invidiose sappiamo bene come trattarle, vero?!
Ho già detto in altra occasione che la mia impressione è quella di aver lanciato una palla di neve che si sta trasformando in una valanga. Altre persone si sono aggiunte alla famiglia di Flora.
La serata sarà presentata dalla giornalista Erika Zini, redattrice presso DI.TV e Capo-redattore presso Ciao Radio, e questa di per sé è già una garanzia. Sarà presente e si esibirà anche Fausto Carpani, cantautore dialettale che nel bolognese, e oltre, non ha certo bisogno di presentazioni.
Le persone che dovrei ringraziare sono tantissime, e di certo mi dimenticherò di molti (a proposito: grazie ai giovani attori, e alle loro famiglie, perché preparare Flora è stato un impegno non da poco!) e con questi molti mi scuso fin da ora… ci tenevo a ringraziare il dottissimo Direttore Artistico del Teatro Dehon Piero Ferrarini, e il vice presidente Confcommercio Ascom Bologna e presidente Nazionale Federcartolai Medardo Montaguti, sempre vicino alle iniziative Inner Wheel Valsamoggia. E grazie anche a Tiziana Marongiu, per la copertura mediatica che sta dando a Flora: in particolare, che belle foto! Grazie.
Quindi, appuntamento il 3 maggio al Dehon. Ore 21, offerta libera.
Si replica poi nel posto dove è nato tutto, Giardini & Terrazzi, Giardini Margherita, di fronte alla Palazzina Liberty, sabato 13 maggio alle ore 18:30.

Standard

Lidia, una vita per gli altri

Di seguito, il testo dell’articolo in memoria di Lidia Basso De Biase, che la Fondazione Mariele Ventre, che ringrazio, mi ha fatto l’onore di pubblicare sulla propria rivista (Anno VII, n.13, Giugno 2021). Un numero particolarmente prestigioso, che dedica un ampio inserto centrale al venticinquennale della scomparsa di Mariele Ventre.

Il Covid ha portato via Lidia Basso De Biase. Nata a Rieti il 18/02/1938, felicemente sposata a Luigi e mamma di quattro figli, amava definire se stessa “operatrice di solidarietà”.

In realtà la parola che forse la identifica meglio è “empatia”, intesa in questo caso come la capacità di intuire i bisogni altrui e di elaborare con intelligenza soluzioni efficaci per risolverli. Una facoltà che le è servita sia nella vita privata che in quella professionale.

Lidia è stata per più di trent’anni addetto stampa dell’Antoniano di Bologna, e si deve anche al suo savoir-faire il successo che ha avuto l’istituzione bolognese, oggi universalmente nota e capace di aggregare ai suoi progetti di musica e solidarietà tanti personaggi prestigiosi del mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura.

Schiva quanto nessuno mai ad apparire in pubblico, sempre riconoscente alla sorella Gina di averle insegnato i “ferri del mestiere”, riusciva con semplicità disarmante a suscitare l’interesse dei mezzi di comunicazione agli eventi in cui era coinvolta, e di cui spesso era l’organizzatrice.

L’entusiasmo, l’abilità di concepire progetti ambiziosi e il talento quasi magico nel realizzarli (magia in realtà fondata sulla chiarezza degli obiettivi da perseguire, sulla determinazione nel procurarsi gli strumenti per riuscirci e sulla bravura nel coinvolgere le persone) la colloca a pieno diritto fra quei grandi Bolognesi che incarnando uno spirito costruttivo tutto “anni cinquanta”, proprio cioè degli anni migliori del dopoguerra, hanno fondato realtà destinate a durare nel tempo. Lidia ha fatto proprio il messaggio di solidarietà che l’Antoniano vuole trasmettere con le sue attività al punto di recarsi lei, già nonna e di certo fisicamente molto lontana dal tipo dell’avventuriera, in terre lontane come il Congo e la Bolivia per controllare che le iniziative dell’Antoniano a favore dei bambini fossero state concretamente realizzate e funzionassero.  Grazie all’impegno di Lidia si è creato uno splendido rapporto con l’orfanotrofio “Il sorriso di Mariele”, dove c’è un’aula a lei dedicata, in Bolivia, e si sono moltiplicate nel tempo le iniziative che hanno legato quella realtà a Bologna e all’Italia.  C’è davvero da chiedersi dove Lidia trovasse tutta questa “grinta”. Ma non a caso Lidia ebbe familiarità con i frati che dal nulla fecero nascere l’Antoniano come oggi lo conosciamo. E non a caso fu ammiratrice e amica di Mariele Ventre, anche qui costituendo assieme a Gina l’elemento meno noto e visibile, ma non per questo meno necessario all’equilibrio complessivo, di una triade di donne formidabili il cui esempio deve essere oggi di ispirazione a noi tutti. Per amicizia, e profondamente convinta della bontà dei progetti, poi pienamente realizzati, fu una grande sostenitrice della Fondazione Mariele Ventre, al punto che i primi due ragazzini iscritti ai corsi di musica furono i suoi nipoti.

Trascinata nel rutilante mondo del pattinaggio a rotelle dalla necessità di seguire la figlia Elisabetta, campionessa europea, ha ideato e organizzato numerose manifestazioni dedicate ai bambini, e non solo. In questo caso l’elenco è particolarmente lungo.

Per anni “Befana sui pattini” è stato un appuntamento fisso il 6 gennaio, al Palasport di Piazza Azzarita a Bologna, per tutti i bambini che desideravano passare un pomeriggio in allegria, in compagnia delle canzoni dello Zecchino d’Oro e delle evoluzioni di gruppi di giovani pattinatori in costume.

Per 25 anni, in collaborazione con la Fondazione Mariele Ventre, una formula analoga è stata proposta con l’intento, riuscitissimo, di ricordare Mariele, fondatrice del piccolo coro: il “Trofeo Mariele Ventre” permette di riascoltare le canzoni dello Zecchino, quelle classiche che da sempre sono impresse nella nostra memoria e che proprio Mariele portò al successo, e consente di vederle reinterpretate da decine di pattinatori provenienti da tutta Italia, spesso giovanissimi, con costumi sgargianti e coreografie meravigliose. Il Trofeo è davvero una festa per gli occhi, gli orecchi e il cuore. È l’occasione di riaffermare valori importanti: il rispetto per l’infanzia, il diritto all’allegria e al gioco.

Lidia ha ideato e spesso organizzato altre manifestazioni sui pattini: le “Zecchiniadi” a Monza, “Estate sui pattini” a Lido di Classe, e il concerto su otto ruote, come lei lo definiva, “Juri, una vita che continua” a San Lazzaro di Savena, dove campioni di pattinaggio si esibivano sulle note delle più famose arie di musica classica. 

Un legame particolarmente profondo si è istaurato nei decenni con la città di Roseto degli Abruzzi, il cui sindaco ha voluto ricordare pubblicamente in un commovente messaggio l’attività che Lidia ha svolto per fare della manifestazione “Sport per la vita” un evento di rilevanza nazionale. Anche qui motore primo dell’iniziativa fu l’amicizia di Lidia con Licia Giunco, dinamica insegnante di Roseto, che avendo assistito a una “Befana sui pattini” la contattò perché la aiutasse a realizzare a Roseto “qualcosa di simile, ma più bello”. Missione pienamente riuscita. Grazie a un eccezionale comitato organizzatore, sempre in contatto con Lidia, “Sport per la vita” vede da anni il coinvolgimento di campioni di pattinaggio, scuole fra le più preparate, personaggi della musica e della cultura che volentieri partecipano come ospiti. Ogni anno vengono raccolte cifre importanti da dedicare a iniziative di solidarietà, e dal 1993 viene assegnata la “Rosa d’argento” a personaggi del mondo della cultura e del sociale che si sono distinti per il loro impegno, con particolare riferimento al mondo dei bambini.

SI parlava di empatia: Lidia pur fra mille impegni ha usato questa sua virtù per tenere unita la sua numerosa famiglia: sua sorella Gina la descriveva come un grande albero, una quercia, i cui rami si allargavano protettivi  per raccogliere tutti i suoi cari.

Fra questi le quattro sorelle, tutte bellissime e ciascuna, a modo suo, “donna di successo” come lei. Sempre rimanendo in famiglia, va citata la stima piena di affetto per i cognati, fra i quali il genio Carlo Rambaldi tecno-papà di E.T.. E si deve ricordare come splendido esempio la dedizione l’amicizia profonda e dolcissima che la legavano in particolare alla sorella Gina, celebre giornalista e scrittrice, voce di RAI International.

La piangono il marito Luigi, le figlie Paola, Valeria ed Elisabetta, il figlio Gianmarco consigliere comunale a Bologna, i nipoti Laura ed Enrico, i generi Stefano e Riccardo, la cagnolina Luna e tutti quanti la conobbero.

Bologna, 23 marzo 2021

Cosa succede

Lidia, una vita per gli altri

Galleria
Cosa succede

Inner Wheel: da Manchester a Valsamoggia

Inner Wheel (costola centenaria del più famoso Rotary) è probabilmente la più grande organizzazione femminile di service al mondo. L’associazione è stata fondata il 10 Gennaio 1924, quando Margarette Golding fu eletta Presidente di un Club in Manchester, costituito dalle mogli dei Rotariani: oggi conta circa 109.000 Socie appartenenti a 3.979 Clubs sparsi in 101 Nazioni e Territori, dall’Europa, all’Africa, India, Filippine, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, e Canada. Come recita lo Statuto, le finalità dell’Associazione sono:

  • promuovere la vera amicizia,
  • incoraggiare gli ideali di servizio individuale
  • favorire la comprensione internazionale.

La nascita nel 2020 del un nuovo club Inner Wheel Valsamoggia Terre d’Acqua assume un significato particolare. E’ sicuramente una ricchezza per la Valsamoggia, e per Bologna in generale, che una organizzazione così prestigiosa si radichi in un territorio così pieno di bellezza e di storia come il nostro. Il fatto poi che questa nascita sia avvenuta in pieno periodo di lockdown testimonia non solo l’intraprendenza di Maria Luigia Casalengo, animatrice di questa iniziativa, ma anche la sensibilità di concretizzare l’impegno e l’attenzione per il prossimo in un periodo così difficile, e l’intelligenza di farlo avvalendosi dell’esperienza di una organizzazione centenaria. Ringrazio Maria Luigia Casalengo e Analda Guja Forni per avermi invitato il 20 settembre alla Rocca Bentivoglio di Bazzano per assistere all’atto ufficiale della nascita di questo importante club.

Standard
Cosa succede

Giardini e terrazzi ci parlano

Domenica 13 settembre l’ormai tradizionale appuntamento con la manifestazione “Giardini e Terrazzi”, nella bella cornice della palazzina liberty dei Giardini Margherita di Bologna, si è arricchita di un nuovo appuntamento: “La frutta parla ai bambini e anche agli adulti”. L’esposizione delle opere di Giorgio Serra (il celeberrimo “Matitaccia”, artista e umorista di simpatia tutta bolognese) ha creato una atmosfera cordiale e simpatica nella quale è stato possibile ascoltare alcune interessanti relazioni. Ha preso la parola per primo il professor Aldo Zechini D’Aurelio, docente di Patologia Vegetale all’Università di Bologna, che ci ha parlato delle malattie delle piante: un intervento interessante, che andrebbe ripetuto ad ogni edizione di “Giardini e Terrazzi”, per aiutarci a crescere piante belle e in salute. Ha poi preso la parola Roberto Piazza, dell’Accademia Nazionale dell’Agricoltura (una istituzione tutta Bolognese che risale al periodo Napoleonico) che con autorevole simpatia, aiutato dai disegni di Matitaccia, ci ha fatto riflettere sull’importanza della frutta (specie quella chilometro zero) nell’alimentazione. Infine, con dolcezza e competenza, la tea expert Daniela Camagni ci ha spiegato come l’uso intelligente delle erbe nostrane è fondamentale per un percorso energetico e riequilibrante personale. Tutto questo è stato reso possibile dall’ospitalità degli organizzatori di “Giardini e Terrazzi” e dall’associazione Inner Wheel presente con il neonato club Valsamoggia Terre d’Acqua.

Standard
Cosa succede

L’anno dei Vecchioni (3 novembre 2019)

Si sa, “I Vecchioni di Mariele Ventre” non è forse il nome più adatto, se si fa musica, a scatenare deliri da concerto rock o tifo da stadio. Eppure basta guardare come sono belli mentre si schierano sui gradini del coro, queste signore e signori che compongono il gruppo, per cogliere l’ironia con la quale oggi si può usare quel termine nei loro confronti. Ironia che deriva direttamente da quella con cui Mariele chiamava gli undicenni che, per ragioni di altezza più che di età, dovevano giocoforza concludere la loro esperienza nel coro dell’Antoniano. E la più giovane di tutti, appena dodicenne, è Francesca Bernardi, effervescente ideatrice di questa esperienza musicale, alla quale va subito un caloroso “grazie” per le emozioni che, con la complicità dei suoi amici, riesce a suscitare in noi spettatori.
Ora che ho esaurito le formalità, voglio dire fino in fondo quello che penso. “Vecchioni” è un nome profondamente trasgressivo in una società intrisa di un giovanilismo dozzinale, in cui tutto sembra orientato ai giovani (peraltro sempre meno numerosi), ma dove entusiasmo ed energia sono spesso scambiate con approssimazione e noia. Quindi ben venga questo nome, da portare con orgoglio come una cresta colorata, come un piercing d’amore, come una maglietta con su scritto “Bèla Bulåggna” !
Ci sono stati tre appuntamenti, fra le esibizioni di quest’anno dei Vecchioni, su cui vorrei soffermarmi. Sia ben chiaro: ci sono state altre “uscite” dei Vecchioni più importanti, altre presenze e riconoscimenti più eclatanti, ma questi sono quelli a me più cari fra quelli ai quali sono riuscito a presenziare: sì perché “I Vecchioni” orami sono così lanciati nel mondo dello spettacolo che non c’è settimana che non li veda protagonisti -loro e Mariele- di qualche evento. Citerò solo due appuntamenti: il”compleanno” di Mariele festeggiato alla Festa dell’Unità e, soprattutto, la grande notizia della trasmissione su RAI 1, oggi 3 novembre, del film dedicato a Mariele. In entrambi i casi i Vecchini sono stati protagonisti. Io però mi occuperò di altro.

La prima esibizione che vorrei ricordare è quella che si è tenuta il 19 maggio a Granarolo dell’Emilia, in occasione della dedica della piazzetta di via Irma Bandiera a Mariele Ventre.

I Vecchioni si sono schierati sotto il voltone di un portico… gente ce n’era davvero tanta, nonostante la giornata di pioggia. Per una volta i “Vecchioni” erano a….metri zero dal pubblico, ed è stato ancora più bello quasi toccare con mano la spontaneità e la precisione con la quale si esibiscono. In altri termini si potrebbe parlare di grande professionalità, ma il fatto è che questo sarebbe limitante. Sì, perché “I Vecchioni” non sono solo un ottimo coro, che di certo farebbe una splendida figura cantando qualsiasi cosa. “I Vecchioni” sono il coro degli ex bambini del Piccolo Coro dell’Antoniano, quello inimitabile di Mariele Ventre, che bontà loro hanno deciso di condividere con noi bellissime canzoni che forse possono apparire infantili nella forma, ma non lo sono affatto nei contenuti e nella espressione artistica. Quello che li rende insuperabili è l’essere dei portatori sani di felicità, dei moltiplicatori d’entusiasmo, dei disciplinatissimi giocherelloni: fanno sentire lo spettatore in famiglia, anche un po’ bambino, ma di quei bambini di una volta, che senza paturnie esistenziali ti ricostruivano il mondo dopo la fine della guerra. Energia positiva allo stato puro! Sempre preziosa la presenza di Maria Antonietta Ventre, emozionata, misurata ed emozionante. Infine, fantastica Mariele che da lassù, in una giornata di pioggia, quando è venuto il momento di dedicarle la piazza, ha fatto comparire un raggio di sole. In quella piazza due volte all’anno si terrà una gara di cori.

Il secondo appuntamento è stato…là dove tutto è iniziato. Grande emozione il 16 giugno per il concerto tenuto nello studio televisivo dell’Antoniano. Lo scopo era di beneficenza a favore dell’Antoniano stesso, e la platea d’onore era piena di personaggi di rilievo: politici bolognesi, il grande Mario Cobellini e il celeberrimo giornalista Mario Luzzatto Fegiz che ha poi dedicato un importante articolo all’avvenimento su Il Corriere della Sera. È stata l’occasione per ricordare anche che, se è su quel palcoscenico che il pubblico ha potuto conoscere i bambini del Piccolo Coro, in realtà è molto più importante la sala prove, lì vicina, dove i ragazzi provavano e provano ancora le canzoni con una disciplina davvero ammirevole, allora perché erano piccoli, oggi perché sono adulti con famiglia, carriere lavorative ed impegni. In quella sala c’è ancora, per sua espressa volontà, il pianoforte di Mariele. E ancora una volta la mente va a quanto eccezionale sia stata quella donna, per aver lasciato, a chi ebbe la fortuna di conoscerla, questa voglia di fare con un mix irresistibile di rigore ed allegria, che ha reso i suoi ragazzi una famiglia allora, e anche oggi, a distanza di tanti anni. Due parole sono doverose su Luciana Boriani: è lei che guida il coro, dai risultati si capisce quanto sia esigente, ma dirige con una umiltà che ricorda quella di Mariele, e una simpatia tutta sua. L’esibizione è stata arricchita, come sempre quando la location lo consente, dalla ennesima edizione del documentario inventato dall’irresistibile Francesca Bernardi. “Ennesima” in quanto, perfezionista come Mariele, Francesca continua a rivedere e limare la sua opera, adeguandola alla platea del momento e ai nuovi documenti scoperti: il risultato è uno spettacolo che si rinnova ogni volta.

Il terzo appuntamento, il 4 ottobre, è stato nella biblioteca della Basilica di San Francesco, per una raccolta fondi in favore del restauro del tetto della Basilica stessa. Questa volta si è trattato di un “radioconcerto”, perché le canzoni dei Vecchioni sono state intervallate, e spesso spiegate e introdotte, dalla voce di Mariele. In una parola: bellissimo! Bellissimo per la cornice, una biblioteca storica al fianco di un chiostro che consente una prospettiva unica sulla basilica. Bellissimo perché “I Vecchioni” son proprio bravi: ed era un piacere sentirlo dire -più volte durante il concerto- dal Maestro Stefano Nanni, a fianco del quale avevo l’onore di sedere. Bellissimo perché Maria Antonietta Ventre trova sempre modi nuovi per farci sentire vicina Mariele. Bellissimo per aver potuto chiacchierare con la splendida Liliana Caroli, per la disinvoltura di Giacomo Calzolari sempre più a suo agio nel ruolo di “bravo presentatore”, per la presenza sempre più amichevole di Mario Luzzatto Fegiz e quella commossa e commovente di Mario Cobellini. Applausi meritatissimi quindi per Francesca Bernardi. Applausi sui quali è doveroso fare una riflessione. Penso che “I Vecchioni” siano nati per gioco e per voglia di stare assieme, perché come dicevo prima Mariele è riuscita a fare di loro una famiglia, al di là dello spazio e del tempo. Già questi sono valori di grande importanza che è un piacere vedere testimoniati con tanta naturalezza. Mi sembra però che il progetto di Francesca stia diventando qualcosa di ancora più rilevante. La passione nella ricerca di materiali audiovisivi ormai storici, la capacità di dare loro nuova vita, l’abilità nel ripercorrere vecchi legami creatisi ai tempi del Piccolo Coro di Mariele sta pian piano realizzando un gande affresco che ci mette in contatto con un’Italia che non è più. Ne sta scaturendo insomma un vero e proprio lavoro storico che l’Antoniano, e ancora di più la Città di Bologna, non solo non dovrebbero lasciarsi sfuggire ma, in qualche modo, dovrebbero rendere permanente e fruibile nelle più diverse chiavi di lettura. “I Vecchioni”, così come li sta sviluppando Francesca, sono diventati un vero patrimonio culturale che va ulteriormente conservato e potenziato. Nelle mani di Francesca e con l’aiuto della Fondazione Mariele Ventre,  dell’Antoniano e della Città di Bologna, non c’è alcun dubbio che questo potrà accadere!

Mariele TV
E ora tutti pronti per la grande prima televisiva di stasera.

P.S.: “I ragazzi dello Zecchino d’oro” è davvero bello! Complimenti al regista e a tutti gli attori!

Standard
Cosa succede

E’ tanto facile…

Una “turpe” storia di amori infantili

Ieri 16 dicembre è stato l’anniversario della scomparsa dell’indimenticabile Mariele Ventre e come ogni anno l’Antoniano si è ritrovato nella Basilica di Sant’Antonio da Padova in Bologna per ricordarla. Tempo fa avevo scritto per la mia amica Francesca Bernardi il raccontino che segue e lei, che è persona piena di talenti, mi ha fatto l’onore di accoglierlo nella sua preziosa raccolta di Testimonianze Musicali, che trovate qui http://www.testimonianzemusicali.com. Ieri, però, quando ci siamo incontrati all’Antoniano, Francesca mi ha fatto il regalo che vedete in foto, e mi ha commosso. Perché? Se volete. potete scoprirlo  leggendo il racconto che segue.

Cosa ricordo del 1969? Non tanto, a dir la verità, e molti di quei ricordi riguardano la TV. Eh sì, perché appartengo a quella generazione per la quale la vita si distingue fra un prima e un dopo: prima e dopo che la TV entrasse in casa. Noi a dire la verità fummo gli ultimi, fra parenti e amici dei miei genitori, ad acquistare l’apparecchio, cosa che mia madre ha rinfacciato a mio padre per circa un cinquantennio. Così, una volta presa la decisione, fu giocoforza procurarsi l’ordigno più moderno disponibile sul mercato: da ultimi a possedere la televisione, diventammo i primi a possedere un televisore con il telecomando. Un telecomando, beninteso, non come quelli attuali, sottili, pieni di tasti colorati, silenziosi. Si trattava di uno scatolotto grande e spesso all’incirca come un paio di mazzi di carte, con un unico tasto, di dimensioni imbarazzanti, che premuto produceva il rumore metallico di una frustata sul cofano di una utilitaria. L’effetto, prodigioso, era quello di far cambiare canale al televisore: dal primo al secondo, dal secondo al primo. Allora, infatti, c’erano solo due canali RAI, e tale era l’elegante cortesia vigente fra le due reti, che quando su di un canale iniziava un nuovo programma, sull’altro in basso a destra dello schermo appariva un triangolino bianco. Così persino io, un bambinetto di 5-6 anni, senza alzarmi dalla sedia potevo scatenare il rumore metallico, far decollare i passerotti dal balcone, e cambiare canale per vedere cosa stesse cominciando.
Dicevo del clima elegante e misurato che caratterizzava le trasmissioni RAI dell’epoca. Nessuna parolaccia, abiti lussuosi, cortesi annunciatrici che ti spiegavano il palinsesto… era questo lo spettacolo offerto a me e ai miei genitori, che davanti allo schermo stavamo sul divano, io al centro e loro ai lati, perché i Simpson non hanno inventato nulla. Eppure erano già gli anni della contestazione, e Paolo Villaggio interpretava Professor Kranz, che maltrattava il pubblico. Noi guardavamo un po’ perplessi quelle esibizioni, pensando in cuor nostro che non fosse il caso di trattare così la gente, e che sarebbe stato preferibile uno stile più cortese e formale perché in fin dei conti eravamo pur sempre un pubblico pagante. Poi ci guardavamo con la coda dell’occhio e, per sembrare moderni, si diceva in coro: “Però, che forte, eh!”.
Fra le grandi novità della TV c’era lo Zecchino d’Oro. Canzoni per bambini cantate da bambini: una vera rivoluzione, in quell’epoca dove l’infanzia era una parentesi da chiudere in fretta, alla quale dedicare ben poca attenzione se non per ribadire l’imperativo “Crescete al più presto!”. Così, davvero rivoluzionaria doveva apparire agli adulti l’attenzione costante riservata ai più giovani nel palinsesto RAI. C’era la TV dei Ragazzi, una fascia oraria dedicata dalle 17 alle 18 dei giorni feriali, con programmi pensati e realizzati ad hoc. Ricordo una trasmissione dove le voci fuori campo di un papà e di un bambino commentavano le immagini che illustravano la vita degli animali… ma non quelli del Serengeti, bensì rane, lucertole, mosche… tutti gli esserini che potevamo incontrare uscendo di casa, ed era un modo molto efficace per imparare ad osservare quello che ci circondava. C’erano le avventure narrate con pupazzi di gommapiuma di Maria Perego, c’erano “contenitori” dove si insegnavano ai più giovani piccoli lavoretti da ripetere a casa “con l’aiuto di mamma e papà”… incredibile, vero? Al giorno d’oggi, che la rivoluzione è una cosa bell’e che fatta, e che sia ha tanta attenzione per i più deboli, non c’è nulla di simile, solo spot pubblicitari intervallati da cartoni animati d’importazione o varietà imperniati su bambini robotizzati. Nel sistema educativo dispiegato dalla RAI a due canali, invece, i piccoli avevano spazi a loro dedicati anche all’interno dei Varietà di intrattenimento per gli adulti, così che le diverse generazioni potessero riunirsi in armonia davanti all’unico apparecchio televisivo disponibile in casa.
Mi ricordo che le domeniche pomeriggio del ’69-’70 la mia famiglia mononucleare guardava “La domenica è un’altra cosa” presentata da Pisu, con Ric e Gian, altri comici e subrette dell’epoca, e il pupazzo Provolino. C’era anche la sigla finale, cantata dal Piccolo Coro dell’Antoniano, fondato da Mariele Ventre nel 1963, anch’esso rivoluzionario per l’epoca, ma di quelle rivoluzioni attente alle persone e ai più piccoli. A me di quella trasmissione importava un’unica cosa: la sigla finale, appunto, “E’ tanto facile”. Perché guardandola ebbi il mio primo colpo di fulmine.
Nella sigla i piccoli coristi invadevano lo studio della trasmissione pieno di palloncini. La cosa era perfettamente in linea con il testo della canzone, che parla appunto di palloni gonfiati, di fronte alla boria dei quali ci si può solo comportare così:
“È tanto facile, non è difficile:
prendilo come ti capita,
gonfialo e dopo pungilo
e lui fa BUM!”
Però… però rivediamo la scena con gli occhi di un bambino di cinque anni di quasi cinquant’anni fa. A quell’epoca uno degli status symbol più ambiti erano i palloncini. Sì, quelli che si vendevano ai giardini Margherita, colorati (monocromatici, ma di diversi colori), pieni di elio, volanti. Quelli per evitare i quali i papà al parco inventavano percorsi labirintici, ma poi ce li compravano, noi li facevamo scappare quasi subito, per cui bisognava comprarne un secondo che ci veniva legato al polso. E, mentre i nostri austeri padri si chiedevano se per caso avessero fatto dei bimbi scemi, noi si traevano grandi lezioni di vita da tutto ciò, indecisi se godere del piacere breve e intenso di guardare il palloncino sparire in alto nel cielo, o pregustare l’emozione misurata di tenere con sé il gioco avendone un controllo assoluto nel parco, portandolo a casa nella speranza che gli amichetti del cortile potessero vederlo, e quindi lasciandolo libero contro il soffitto della cameretta, felici per esserci finalmente affrancati dalla cordicella che ce l’assicurava al polso. Insomma, in un contesto del genere è evidente come quello studio pieno di palloncini dovesse apparire ai miei occhi come una esibizione di lusso sibaritico. E il fatto che i bambini dell’antoniano, ben vestiti e allegri, potessero giocare con quei palloni, lanciarli, farli scoppiare, prenderli a calci, senza che quelli volassero via, rendeva loro, già divi, piccoli dei.
Infatti non a caso la prima solista ad interpretare la canzone era Cristina d’Avena. Bellissima, con i codini, sorridente, lo sguardo birichino, camminava indisturbata in quella confusione, come Beatrice per la via, cantando benissimo. Ma, appena la telecamera si distraeva per inquadrare i piccoli coristi scorrazzare per lo studio, eccola: appariva lei. Nella confusione stava ferma, le mani dietro la schiena, già pronta ad interpretare la sua parte, ieratica. Poi eccola di nuovo, dare un calcetto a un pallone (ma con che grazia, eh!), spingere (ma con cortesia, eh!) una sua amica perché non rovinasse l’inquadratura infine, con un gesto autorevole come quello dell’Apollo di Olimpia, indicare a un’altra bambina la posizione da assumere. Finalmente, come una femmina adulta, si metteva a posto i capelli. Ce n’era più che abbastanza per attirare la mia attenzione. Il secondo brano solista era appannaggio di un ragazzino che non mi suscitava particolari emozioni, se non una leggera invidia per ruolo, vestiti e situazione: poteva andare bene per giocarci a nascondino, ecco, con lui che si nascondeva. Lei era lì, sullo sfondo, e guardava l’amichetto con uno sguardo attento ed esperto simile a quello di Mariele quando dirigeva i suoi bambini. Ma il terzo brano solista… ecco, alle parole “C’è sempre uno che vuole comandare” mi sembrava di volare, anzi di lanciarmi senza paracadute da una nuvola. A cantare era proprio lei. Elegante con la sua gonnellina, la camicetta bianca e il pullover, la pettinatura alla maschietta, forse non bella come Cristina d’Avena ma quel che si dice un “tipo”: comunque io la trovavo bellissima perché somigliava un po’ a Rita Pavone e un po’ a mia nonna. Pativo per lei quando un pallone l’urtava durante l’interpretazione, e avrei voluto volare nello studio brandendo un ago gigante per difenderla da simili offese. Ma lei, superiore alle ingiurie della vita, continuava a cantare come se nulla fosse, e quando guardando fuori camera intonava “però, però, però…” era più fatale di Mina in “Parole, parole, parole”. Io ne venivo totalmente conquistato: cosa succedesse dopo nella sigla non ve lo saprei dire, perché giacevo lì, sul divano, inerme fra i miei genitori ignari, con il cuore fermo e il cervello spappolato, travolto dalla forza dell’amore.
Questa estasi si ripeteva ogni domenica. Almeno finché non mi venne in mente che, in realtà, io ero un uomo già impegnato. Sì, perché avevo già una fidanzatina, e ufficiale per giunta. No, non parlo di Roberta, che all’asilo con i capelli a caschetto e la sua abilità nel giocare a palla avvelenata aveva fatto palpitare il mio cuore per qualche settimana. Parlo di lei, la trecciuta Daniela. Era successo che mia madre aveva fatto amicizia con la moglie del nostro medico di famiglia, che loro avevano una figlia, più grande di me di un anno, e che spesso passassimo pomeriggi tutti assieme, e organizzassimo piccole gite.
Daniela mi sopravanzava in tutto: in età, come ho detto, ma anche nella capacità di imporre la sua volontà ai genitori, e nella conoscenza del mondo. Lei, donna vissuta, era sempre informata su quale fosse il cantante più in voga, su quale fosse l’ultima moda nei vestiti per la Barbie, su cosa facessero i VIP. A tutto questo io potevo opporre solo la frequente lettura dei fumetti di Topolino: lei accoglieva con indulgenza le mie citazioni poi mi diceva di portare il suo cane di peluche a fare pipì in corridoio. In poche parole, ero il suo toy boy.
Fu così che, assieme al primo colpo di fulmine, sperimentai anche l’umiliante batticuore che si accompagna agli amori clandestini. Cosa sarebbe successo se la trecciuta avesse saputo della mia travolgente passione? Ma, ancora più grave, come avrei potuto coronare il mio amore e conoscere di persona quella sirena che, pur cantando “E’ così facile, non è difficile”, restava sideralmente irraggiungibile?
Un ulteriore tormento per la mia voluttà fu scoprire che la sigla era stata ospitata in un 45 giri che in copertina aveva un simpatico disegno con bambini dai capelli arancioni (il mio colore preferito del momento) e, incredibile a dirsi, una foto in bianco e nero che ritraeva proprio lei, la bellissima. Questo tributo al suo carisma da parte del fotografo, del grafico che aveva disegnato la copertina, della casa produttrice dei dischi, dei frati dell’Antoniano, di Mariele e del Destino non poteva che confermarmi nella mia passione. Così portai come per caso mia nonna, quella che le somigliava, davanti alla vetrina di un negozio di dischi in piazza Mikiewicz, che dopo poco divenne un negozio di caramelle e ora, appropriatosi di un insospettabile retrobottega, è una banca. Lì, in vetrina, c’era il 45 giri dei miei desideri: alla fine la nonna me lo comprò.
La foto della mia amata divenne oggetto quotidiano di venerazione, e mi sforzavo di riprodurre il disegno dei bambini che si trovava sul disco per poterle offrire in omaggio, quando l’avessi incontrata, quella mia opera assieme a un fascio di rose.
Però quando incontravo la trecciuta, la mia coscienza non mi dava pace. Così un giorno pensai che fosse giunto il momento di parlargliene, di questa cosa che mi era successa, e attendere gli eventi. Presi la faccenda alla larga: mentre eravamo in camera mia a giocare le mostrai la copertina e infilai il vinile nel mangiadischi arancione. Lei ascoltò la canzone senza manifestare alcuna emozione, e alla mia richiesta di fare il bis rispose che no, non era il caso, era meglio ascoltare un disco di Renato Rascel, che aveva visto nella pila di quelli dello Zecchino, perché le sembrava intellettualmente più stimolante. Come un automa, non sapendo che pensare, presi “E’ tanto facile…”, lo rimisi nella copertina, poi davanti ai primi segni di impazienza della trecciuta appoggiai il disco sulla poltrona e mi precipitai a inserire Rascel nel mangianastri. La trecciuta, assunta l’aria annoiata e vacua tipica degli intellettuali anni ‘70, con una piroetta piombò a sedere sulla poltrona. Schiacciando irrimediabilmente il disco e il mio amore.
Non so come ressi al dolore, forse solo per via della giovane età e delle condizioni fisiche eccellenti. Per dovere d’ospitalità evitai di far pesare alla trecciuta lo scempio che aveva appena commesso del disco e della mia vita, ma ricordo ancora quel pomeriggio come uno dei più tristi di sempre. Così, mentre lei ascoltava Rascel, io pensavo che quanto era successo rappresentava un lampante caso di punizione divina per il mio amore irregolare, che bisognasse imparare la lezione una volta per tutte, e pertanto giurai solennemente a me stesso di rinunciare per sempre alla fatale cantante.
La copertina con la foto della bellissima, però, rimaneva lì a tentarmi. Di più, non sopportavo di non poter ascoltare a comando la sua angelica voce, attività assolutamente necessaria per allenarmi ad esserle indifferente e confermarmi nel proposito di dimenticarla.
Così portai di nuovo mia nonna in piazza Mikiewicz e, dopo averle raccontato i fatti (non certo i miei sentimenti), presi ad insistere per avere una seconda copia del disco. Benché fosse restia a soddisfare ancora il mio desiderio di possedere il vinile già acquistato di una canzone che potevo riascoltare gratis ogni domenica, alla fine mia nonna cedette.
Eppure, questo secondo disco era diverso. La copertina, prima di tutto. Era sempre ritratta lei, la bellissima, ma i bambini del disegno avevano ora i capelli gialli, non più del bell’arancione della versione precedente. Anche la qualità del suono mi sembrava minore.
Ma, poiché “Giove dall’alto sorride degli spergiuri degli amanti”, già i miei sentimenti si stavano orientando verso la ricciolina Graziella, la compagna di banco che mi rimetteva in ordine l’astuccio. E mi confortava non poco sapere che, se la trecciuta le si fosse seduta sopra, la ricciolina avrebbe saputo difendersi.
Riccardo Medici
Maggio 2017

Standard
Cosa succede

Una storia per un’immagine

Anche quest’anno ho avuto l’onore di essere il presidente del concorso “Una storia per una immagine”, organizzato dalla Scuola Maestre Pie di Bologna, e rivolto ai ragazzi delle classi IV e V della Scuola Primaria, e delle tre classi della scuola secondaria di primo grado degli istituti statali, paritari o privati dell’Emilia Romagna. Dicevo “anche”, però la parola non rende, ma proprio per nulla, l’emozione sempre nuova che mi regala ogni anno questo concorso. Perché ormai la perfetta organizzatrice prof. Carlotta Zannini, le mie care, dolcissime e determinatissime Suor Stefania e Suor Rina, l’architetto e illustratore Romeo Pauselli e l’illustratrice Benedetta Lolli sono amici, e di quelli cari, che è bello ritrovare. Perché a volte succede, nella vita, di conoscere persone che prima ti colpiscono per la loro professionalità, poi ti conquistano con la loro forza, e quando infine capisci da cosa deriva questa loro forza, cioè dalla bellezza che hanno dentro, allora è un onore che loro si ricordino di te, ed essere coinvolti in qualcosa da loro è un po’ come godersi i raggi del sole in una bella mattina di primavera. Organizzare un concorso come questo non è affatto semplice! Scegliere le tre immagini che dovranno ispirare i racconti dei giovani autori, curare il blog del concorso, ricevere gli elaborati, coordinare il lavoro della giuria di esperti, avere la disponibilità  dei premi, raccogliere i racconti vincenti in un eBook illustrato, tutte cose che ogni anno sembrano  accadere per magia, ma comportano un grosso lavoro,  e io faccio davvero poco!

Il successo dell’iniziativa è innegabile. Quest’anno sono arrivati oltre 290 racconti (290!), che sono stati premiati sulla base dei voti online della “giuria popolare” e dalla “giuria degli esperti”.

Anche questa volta mi sono stupito per l’alta qualità  degli elaborati, tanto che era difficile individuare i vincitori, e per avere un elemento in più ho pensato di aggiungere alle categorie di giudizio, ormai consolidate negli anni,  quella del titolo scelto dai giovani autori per il loro racconto.

Sul sito http://unastoriaper1immagine.altervista.org/category/senza-categoria/  ci sono tutti i dettagli, le foto del concorso, e i testi vincitori. Ma chi non era presente non può immaginare la bellezza dei sorrisi che illuminavano il volto dei premiati nel momento dell’annuncio, e di come subito pensassero a consolare gli altri finalisti. Va anche detto che quest’anno oltre alla ormai tradizionale pergamena i vincitori ricevevano coppe degne di grandi tornei calcistici e altri omaggi: grazie per questo alla Associazione Nuova Agimap e a “La casa dei Saperi”.

Vorrei infine ricordare due cose.

La prima, è l’idea azzeccatissima che sta all’origine del concorso. In questa civiltà  dell’immagine, dove siamo sommersi e dominati dai messaggi visivi, chiedere ai ragazzi di concentrarsi su alcune immagini, sceglierne una, e spingerli a ricavarne una storia è proprio quello che una scuola deve fare: insegnare ai  nostri ragazzi ad usare il cervello, a mettersi alla prova, e far emergere i talenti.

La seconda, è la decisione della Scuola di dedicare un premio cultura a Gina Basso. Penso che sia il modo migliore di ricordare Gina, fra i ragazzi, parlando di valori, a scuola. Grande commozione quindi da parte di Lidia Basso, che ha premiato il racconto scelto perché capace di affrontare un tema caro a Gina, quello della immigrazione, con grande delicatezza e intelligenza. E grande commozione, evidentemente, da parte mia, nonché  gratitudine per Gina, visto che fu proprio lei a propormi per la “presidenza” di questo premio al quale collaborava.

 

 

Standard
Cosa succede

Vivo per vivere: incontro con gli studenti

Il 28 aprile scorso “Vivo per vivere”,  di Gina Basso e del sottoscritto, è tornato nelle scuole! L’incontro con le seconde medie delle scuole Maestre Pie di Bologna è stato particolarmente emozionante, perché nella medesima aula il libro era già stato presentato, alcuni anni fa, assieme a Gina: e l’incontro si è aperto con un commovente ricordo della nostra indimenticabile amica. Il libro è dedicato a temi scottanti, immigrazione e integrazione, argomenti non semplici da trattare davanti a una platea di ragazzi, ma quanto mai di attualità e quindi necessari di approfondimento.

L’incontro si è aperto con la condivisione di alcuni dati pubblicati proprio in quei giorni dall’OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, agenzia collegata alle Nazioni Unite dal 2016, che conta 166 stati membri. Infatti è stato sottolineato che il libro va affrontato secondo due piani di lettura: il primo, quello “giornalistico”, che descrive fatti reali (tutte le vicende narrate sono frutto di un lungo lavoro di approfondimento e di raccolta informazioni su episodi realmente accaduti, pur evitando collegamenti diretti alla cronaca), il secondo, quello empatico, che cerca la condivisione delle emozioni dei protagonisti.

Un tema difficile, dicevo, che tuttavia è stato affrontato in modo molto equilibrato dai docenti nelle classi, perché durante l’incontro le numerose domande dei ragazzi (sempre troppe per il tempo a disposizione) sono state davvero non banali.

Grazie ancora per questa splendida occasione!

Di “Vivo per vivere” si parla anche nella pagina Facebook dedicata

Standard
Cosa succede

Generosi, solidali e rispettosi

Per la quarta volta l’Istituto Suore Pie dell’Immacolata Concezione di Ascoli Piceno ha assegnato borse di studio ad alunni della scuola Primaria, Media e Superiore. Le borse di studio sono offerte dall’ingegner Flavio Andreoli e hanno la finalità di promuovere fra gli alunni comportamenti solidali, generosi e rispettosi dei coetanei e dell’ambiente, alla luce degli insegnamenti del Fondatore della congregazione delle Suore Pie dell’Immacolata Concezione, il venerabile Francesco Antonio Marcucci. Quest’anno Suor Maria Paola Giobbi ha pensato bene di organizzare una tavola rotonda fra alcuni studenti e di chiedere a me di fare da moderatore. La cosa si è svolta sabato 26 novembre a San Benedetto del Tronto, in una allegra confusione, fra il sottoscritto che sbagliava tutti i nomi dei premiati e si perdeva nelle moderne definizioni delle classi di appartenenza, i ragazzi in sala che… facevano i ragazzi, quelli sul palco che… facevano gli adulti, e l’emozione dei genitori. In qualche modo ce la siamo cavata. Sono doverosi quanto sentiti i ringraziamenti per Suor Maria Paola per l’invito e per Madre Flaviana per l’ospitalità. Ho consigliato ai ragazzi di conservare il bando della Borsa di Studio, e di rileggerlo ogni tanto negli anni a venire, perché le riflessioni di Suor Maria Paola sul tema “Generosi, soldali e rispettosi” sono davvero profonde: il significato delle parole è chiaro, ma la vita non mancherà di moltiplicare gli esempi in cui i ragazzi potranno rispecchiare gli insegnamenti ricevuti. I ragazzi presenti alla tavola rotonda si sono dimostrati, oltre che generosi, solidali e rispettosi, anche bravi e profondi nelle loro riflessioni. Credetemi, sono anche belli, ma per motivi di privacy ho preferito nascondere i loro volti nelle foto.15194311_957204784384134_8082206052168074197_ofoto.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Standard