Uno spazio minimo – Rosalia Messina
Ci sono libri che vengono letti quasi senza accorgersene, pagina dopo pagina, quasi si venisse cullati dalla corrente di un fiume, senza fare nessun’altra fatica che voltare le pagine, e immergersi nei paesaggi e nelle vicende di volta in volta descritti.
Quando ho aperto “Uno spazio minimo”, di Rosalia Messina, Melville Editore, pensavo di trovarmi davanti a un racconto del tipo “Lessico Familiare” di Natalia Ginzburg. E qui vanno dette due cose: la prima, che ho letto Lessico decine di anni fa ma per me rimane il termine di confronto imprescindibile quando si parla di vicende familiari, la seconda, che conosco di fama Rosalia Messina quindi il paragone non mi sembrava affatto azzardato.
Mi aspettavo di trovare un affresco familiare, dipinto con pennellate sapienti, con mano femminile, dolce e profonda.
Invece ho dovuto metterlo da parte, quel libro, perché già le prime pagine soso state come coltellate. Per carità! È scritto benissimo, con eleganza, è un libro da leggere! Ma per me è stato come guardarmi allo specchio, non uno specchio normale, bensì uno di quelli deformanti dei luna-park. Questo perché mi sono riconosciuto se non nelle vicende di Angelica, la protagonista, di sicuro nei suoi problemi, nel suo essere bambina estraniata dal mondo, nella sua vita complicata soprattutto dalla mancanza di uno spazio minimo di confort, dove sentirsi apprezzati, difesi, dove essere se stessi senza dover ad ogni respiro dar conto della propria esistenza a giudici distratti e incapaci. Grande sintonia, quindi, e rispetto per l’autrice, ma assieme il disagio di dover rivivere sensazioni non gradevoli, per chi come me le condivide, con l’imbarazzo di vederle declinate in modi e situazioni, in una vita, che non è la propria. Ho avuto bisogno di molto tempo per trovare un po’ di coraggio per continuare la lettura, ma una volta ripresa ho finito il libro in un pomeriggio. E mi sono appassionato alle vicende di Angelica, a questa noria o Ananke o destino, in cui è imprigionata per cui le difficoltà di una generazione inevitabilmente si ripercuotono in quella successiva. In questa Sicilia alienata in cui è immersa, di cui si percepisce l’odore ma non impressioni visive, quasi si fosse abbagliati dal sole ogni volta che si scostano le tende per guardare fuori dalla finestra. Con persone che appaiono spesso come Moai, anche quando l’autrice ci permette di conoscerli a fondo, e noi cerchiamo un cuore ma non troviamo che pietra. E tuttavia Angelica cerca la sua strada, dapprima uno spazio in cui estraniarsi della sua famiglia, una perfetta famiglia del dopoguerra, capace di fornire benessere materiale, ma incapace di insegnare la gioia, perché priva di esperienze personali da cui trarla, e di ideali a cui ispirarsi. Poi un primo matrimonio fallito, una seconda unione, la difficoltà di diventare madre, la carriera professionale… E noi camminiamo con lei, verrebbe voglia di prenderla per mano, questa Angelica, e nello stesso tempo di correre via per non fare i conti con la nostra, di vita: benché questo non è un racconto sentimentale, ma profondamente umano, e le cose umane lo sappiamo, possono essere bellissime e dolorosissime assieme.
Pochi giorni fa uno scrittore, Ivano Porpora, mi spiegava come scrivere un libro sia un atto d’amore, un mettere il proprio vissuto a disposizione di sconosciuti per condividere con loro le nostre esperienze e, se va bene, aiutarli. Leggete “Uno spazio minimo”, e siate grati a Rosalia Messina, all’Editore e agli amici che l’hanno sostenuta in questa opera: perché se forse non c’è nessuna biografia almeno un poco romanzata, di sicuro non c’è nessun romanzo almeno in parte autobiografico, e quindi in questo racconto di amore, alla fine, ce n’è tanto. Tanto davvero. E anche gioia. La gioia alla fine di farcela!